La tragedia di un uomo invisibile
Mi chiamavo Moussa Baldè

Gabriele Antibo IV D


uomo invisibile

Mi chiamo Moussa Balde, sono un ragazzo di 23 anni e vengo dalla Guinea, sono scappato dal mio paese per studiare e trovare un lavoro, da alcuni giorni vivo in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) a Torino, tifo per la Roma e in Italia sono riuscito a prendere il Diploma di Licenza Media.
I Centri di Permanenza per il Rimpatrio sono usati per identificare e deportare dal territorio italiano i “migranti irregolari”, ma vivere qui non è facile per le condizioni disagiate, assenza di spazi comuni destinati al consumo dei pasti e ad attività ricreative.
Sono costretto a stare qui perché sono un non comunitario, con un permesso di soggiorno scaduto.
Sono stato accusato di aver rubato un telefono e per questo sono stato aggredito da tre italiani all’uscita di un supermercato con tubi di plastica e sbarre di ferro, alcuni ragazzi invece di aiutarmi hanno filmato l’aggressione con i loro telefonini.
Soltanto una donna ha avuto il coraggio di gridare agli aggressori di fermarsi.
Sono stato ricoverato in ospedale, ma appena dimesso invece di essere curato mi hanno portato nel Centro di permanenza per il rimpatrio; le mie condizioni peggioravano, ma loro pensavano soltanto al mio permesso di soggiorno scaduto e alla mia espulsione, mi sentivo solo e abbandonato e così ho fatto la mia scelta: tra quelle fredde mura mi ha accolto il gelido sonno della morte e finalmente ho sognato di ricevere una briciola d’amore.