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Incomprensione

 colomba
Lasciare che tutto accada, in fondo è così che è la vita… è come se stessimo appesi in bilico su un filo, in balia della corrente che spezza l’equilibrio dato dall’ andare sempre oltre.
La bellezza, ciò che ti rende stabile e il terrore, un timore che ti impedisce di avanzare, scalfiscono entrambi la percezione del raggiungimento della meta, a cui si interseca il rischio scandito dall’ incertezza del compimento di passi falsi, che trascinano giù con sé in una voragine che persiste nella sua inconsistenza: la condanna che travolse il destino degli ebrei.
Cosa resta adesso di ciò che erano? Resta l’incomprensione che offusca e annebbia la nitidezza della loro essenza. Uccisi e sterminati per essere semplicemente ebrei.
Come si può condannare la diversità che li contraddistingue? Secondo quali criteri si è in grado di differenziare una persona?
Ma ciò che più di ogni altra cosa mi fa rabbrividire è la pretesa di determinare la fine della loro esistenza, segnata da supplizi, sofferenza e purtroppo sconfitte.
Quali sensazioni avranno graffiato il solco delle loro emozioni?
La speranza era ardente, ma il coraggio era recluso da una fragile e amara consapevolezza, quella di comprendere la devastazione di ogni singolo aspetto di cui erano parte, inclusi se stessi. Nell’ instabilità che delinea l’insicurezza di ogni singolo istante permane lo smarrimento tra la condizione di essere e quella di voler smettere di esserlo, perché forse la scelta di esistere e non abbandonare quello spiraglio di luce avrebbe comportato l’acquisizione della libertà di tutte le innocenti vittime da quella tragica e cruenta morte.
Negli occhi dei sopravvissuti si legge la voglia di rivalsa e il distacco da quegli avvenimenti che li costringono a convivere con il senso di rassegnazione e il rimorso di non aver potuto fare abbastanza. E allora come può una convenzionale ricorrenza colmare la pesantezza degli orrori e degli errori commessi?
Perché i disagi restano e la mancanza non prescinde da tutto ciò, il dolore oscura la propria ombra e resta indelebile nel riflesso di ciascuno che abbia frantumato i propri ricordi.
La verità è che “qui chi pensa poi perde”, perché, nonostante la citazione che conclude il film “Jojo Rabit” : “Nessun sentire è mai troppo lontano”, affermi che nulla può essere distante dal provare sentimenti, quindi dal raggiungimento della meta, ciò che ci fa riflettere è il prezzo da pagare per ogni ribellione, che costa cara e comporta la morte; di conseguenza se ad ogni parola sussurrata corrispondesse la fine, nulla sarebbe lontano dal cessare.
Come può l’essere umano impedire il vissuto di quest’ inestimabile ricchezza, quale è la vita?
Perché ci si è resi indifferenti di fronte a questa eclatante violenza?
Mi rendo conto che il silenzio logora inconsapevolmente dentro, tracciando una sensazione di passività nei confronti di persone segnate da un incontrovertibile destino.
Chissà cosa sia passato per la mente di chi appoggiò l’ideologia?
È come se avessero subito un processo di condizionamento attraverso strumenti di propaganda che influenzarono il pensiero di giovani e meno giovani, portandoli a considerare la partecipazione al fronte una giusta scelta, in grado di valorizzare la loro “razza”, per poi rivendicarne la supremazia e la conseguente sottomissione di quella ebrea.
Un altro aspetto che mi ha davvero colpito in profondità è la strumentalizzazione del pensiero che si evince dalla condivisione di ideali, allora ritenuti universali, che destabilizzano l’ armonia di chi, a piccoli passi, cerca di giungere ad un obiettivo che nobiliti la propria essenza.
Condivido niente di tutto ciò e le parole non saranno mai abbastanza per esprimere l’incomprensione che ha condizionato la vita di molte persone, purtroppo, persino, troncandola definitivamente. Non resta che provare a rimediare, lasciando che il resto non ci inganni, perché solo dagli sbagli si comprendono gli errori e si rifiutano le cattive aspirazioni.
Cos’è che ci porta ad aprire la nostra coscienza?
Forse l’incapacità di comprensione che distoglie lo sguardo dall’effimera sensazione di compassione…





                                                   Luana Firetto 3Y














Mafalda scrive allo Strillone 

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