Ci
siamo resi conto, che, davanti alla morte o almeno, alla paura della
morte, siamo tutti uguali.
Ci siamo resi conto, che, non vale più la pena litigare, perché non
vi è tempo.
Anche solo un secondo, un minuto, può essere prezioso.
L’odio, è quel nemico che, molte volte, si trasforma in sentimento
ma adesso, ci siamo resi conto, che, non vi è spazio nella vita per
la cattiveria, perché la vita è troppo breve.
Quante cose ci mancano che, prima avevamo ma non apprezzavamo?
Quanto ci manca essere ansiosi, magari per un compito, per
un’interrogazione, per un esame.
Per quella cosa che, noi tutti i giorni detestavamo, la scuola. Per
anni ci siamo lamentati, per qualcosa di caro, troppo caro, ma che
soprattutto avevamo, ai nostri occhi, sembrava futile, troppo futile
che, oggi vorremmo con tutto il cuore.
Per milioni di ragazzi, questo, doveva essere l’ultimo anno di
scuola. L’ultimo anno in cui, si dovevano affrontare diverse sfide e
si dovevano provare milione di emozioni, perché l’ultimo anno è
l’anno in cui, si scopre chi si è, chi si vuole essere ma
soprattutto chi si vuole diventare. La scuola è stata un misto di:
sorrisi, pianti, delusioni, litigi, momenti indimenticabili ma
soprattutto indescrivibili, che si porteranno sempre nel cuore. La
classe era diventata famiglia, una seconda famiglia, con la quale
magari, i rapporti non erano intensi con tutti ma, ogni rapporto
aveva il suo perché, ha il suo perché. Non si possono cancellare
cinque anni di vita insieme, magari qualche ricordo svanisce ma,
quello che davvero conta, lo custodiremo sempre nel nostro cuore.
Pensiamo alla maturità molto spesso con superficialità, perché?
Perché pensiamo soltanto al voto che ci daranno. Non penseremo
invece che, la nostre strade non combaceranno, che, magari alcuni
amici non li rivedremo più, perché andranno via dalla città.
Qualcuno resterà qui e i contatti si perderanno, non si sa quello
che accadrà ma, quello che abbiamo costruito in questi anni, non
dovrà essere mai distrutto. Le nostre strade, si sono interrotte
prima del dovuto, per qualcosa che nessuno di noi voleva ma, che
purtroppo è accaduto, una pandemia. Qualcosa che, ci fa stare
distanti, qualcosa che, non si può controllare, qualcosa che, va
oltre tutto. Ha interrotto la nostra quotidianità ma, non ha fermato
la nostra vita per sempre.
Racconteremo, a chi verrà dopo di noi, magari ai nostri figli, ai
nostri nipoti, quel tempo in cui, non si poteva abbracciare o
baciare qualcuno, qualcuno a cui volessi bene; quel tempo in cui, la
tristezza aumentava, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto; quel
tempo in cui non si poteva uscire di casa; quel tempo in cui, più
giorni passavano ed il nervosismo aumentava, lo stress aumentava.
Racconteremo, di un incubo, che accadde nel 2020, quell’incubo che
prese il nome di Covid-19, che alla fine di febbraio, dalla Cina
arrivò in Italia, devastando tutto, perché in sole tre settimane, vi
furono più decessi, di quanto si potesse immaginare ma, ancora il
picco doveva arrivare. All’inizio, il tutto venne preso con estrema
superficialità, pensando, che fosse solo una semplice influenza. Non
ci preoccupammo più di tanto, perché non avremmo mai immaginato
quello che sarebbe potuto succedere, nel giro di qualche giorno. Non
ci si poteva ammalare, perché, negli ospedali era meglio non andare.
I medici arrivarono al punto, di paragonare l’ospedale ad un campo
di battaglia. I medici non andavano a lavoro ma, andavano a
combattere, erano dei guerrieri senza spada, senza scudo, l’unica
protezione, erano dei guanti e delle mascherine, che portandole per
quasi 24 ore, lasciavano segni orridi sul tutto il viso ma, in
realtà orrido era ben altro. Nonostante avessero dei lividi nel loro
viso, delle macchie, dei segni, erano fieri del lavoro che facevano.
In un attimo ci venne tolto tutto, l’unica cosa che ci restò, fu
semplicemente la pazienza. Racconteremo, della fortuna di essere
nati in quella generazione, perché l’unico modo per comunicare, era
Internet, solo così riuscimmo a tenerci in contatto ma, non era lo
stesso, e lo sapevamo ma, era l’unico modo che avevamo.
Racconteremo, che la scuola era bella, ma bella veramente, era bello
svegliarsi al mattino presto, erano belle quelle interrogazione a
sorpresa, erano belli quei rimproveri. Non l’avremmo mai detto, che,
anche la sveglia al mattino presto, potesse diventare piacevole; Che
l’autobus affollato potesse provocare questa mancanza; che anche
solo il suono della campanella, adesso, potesse risuonare meglio
della tua, della vostra o della nostra canzone preferita.
Ma quanto ci mancava la scuola? D’altronde, ci mancava tutto. Era
così dannatamente surreale, che non ci si poteva credere. Vi erano
pensieri positivi e pensieri negativi, c’è chi pensava, che non ce
l’avremmo fatto e chi invece si. Racconteremo, dei flash mob che
facevamo alle finestre, per dimenticare, anche solo per dieci
minuti, cosa stavamo vivendo. Racconteremo, di un anno in cui non
piovve quasi mai, ma per un periodo la tristezza che vi era intorno,
era uguale, a quella che ti portava una giornata di pioggia, vi fu
un inverno caldo ma, quello che c’era fuori lo rendeva freddo, buio
e malinconico. Racconteremo, che ognuno di noi, doveva fare la sua
parte, giorno dopo giorno, nonostante, i giorni fossero tutti
uguali.
Fu l’anno in cui si fermò tutto, ogni cosa, dalla più piccola alla
più grande, dal più piccolo venditore ambulante ai più grandi centri
commerciali d’Europa. IL MONDO SI FERMÒ. Ma soprattutto,
racconteremo, di quanto fu bello, potersi riabbracciare di nuovo,
sorridere di nuovo, senza alcuna protezione.
Perché, avevamo finalmente, sconfitto la guerra.
Giorgia Ajello, Laura Muratore, Chiara Mangogna, Sofia Polizzotto, Eleonora Pipitó, Jessica Spataro 5E