Essere svegliati, un giorno, dal “fischio di un
treno” è un fatto che ormai capita a ben pochi;
accorgersi di vivere, di essere parte integrante della
stessa vita è quasi un cataclisma, un terremoto che
sconvolge i nostri sensi, che ci scuote nel bel mezzo
della notte e ci rivela quel ”flusso vitale”che col
tempo abbiamo preferito fermare per paura di scoprire
una verità complessa che all’uomo non appartiene o
meglio non conviene.
Un dì il signor Belluca aprì gli occhi e, svegliatosi
dal sonno mascherato che opprime l’esistenza umana, si
alzò e si lavò il viso con la gelida acqua cristallina
del flusso della vita, profumandosi di umorismo e
“svestendosi” di maschere.
Cos’è, dunque, in fondo l’esistenza? Un ciclo continuo
di attimi “costruiti” sulla base di un prototipo certo
che è il giudizio altrui :<< Ebbene si>>, afferma Vitangelo Moscarda protagonista del romanzo per
eccellenza “Uno, nessuno e Centomila” << l’uomo piglia a
materia anche se stesso e si costruisce, sissignori, come
una casa>> come un castello che racchiude e imprigiona un
flusso eterno che ci condurrebbe solo alla pazzia, che
pazzia in realtà non è.
Se riflettiamo per bene, infatti, e ci FERMIAMO un momento
ci accorgiamo certamente che vuoi o non vuoi per gli
altri il nostro naso pende sempre verso sinistra,per noi
invece è sempre dritto e perfetto. A cosa credere
allora? A ciò che vivo dall’interno o a ciò che gli altri
vivono di me dall’esterno?
E se continuiamo a riflettere e soprattutto TROVIAMO IL
TEMPO DI FARLO, ci rendiamo conto di non essere noi
stessi se non in virtù di ciò che siamo per gli altri e
di ciò che noi vogliamo essere per noi stessi. Non
siamo, se non in relazione ad un’illusione, se non in
relazione ad una maschera che ci protegge dal vuoto del
non-senso della COMUNE pazzia.
In verità, come afferma Pirandello nella novella “Il
treno ha fischiato”, ci sentiamo parte del mondo e, quindi,
vediamo ciò che siamo e ciò che è la vita nel momento in
cui tutto è silenzio e tutto si FERMA: è allora che
scorgiamo il vero significato di pazzia comune poiché ci
rendiamo conto che siamo stati dei pazzi a non aver
visto che viviamo nella non-libertà, che viviamo in
catene, nelle catene altrui, con le manette di una società
che ci limita e che ci mostra e ci impone idee
universali, tradizionali e vuote se per noi lo sono.
Nulla è certo, tutto è relativo! La certezza è dei
“saggi”, l’incertezza dei folli. Chi siamo,dunque? Siamo
“Personaggi in cerca di un autore” nella speranza che
esso ci scriva sopra una storia ma siamo anche un po’ Moscarda alla continua ricerca di noi stessi. Se
scoprissimo chi siamo, agli occhi della gente,
appariremmo come dei pazzi, dei deviati, degli individui
fuori da ogni regola.
Verremmo giudicati, emarginati, derisi, incompresi, ma
saremmo LIBERI, uniti al flusso vitale, plasmati nella
vera vita.
Razionalizziamo ciò che siamo per paura di perdere
quello che abbiamo costruito, ma siamo caparbi nel non
comprendere che tutto in un soffio può svanire, e allora
distruggiamo la maschera vecchia e ne edifichiamo una
nuova che comunque non ci appartiene se non per timore
di conoscere e far conoscere chi siamo.
Nel corso della storia grandi uomini sono stati creduti
pazzi , a loro tempo, oggi invece li ammiriamo come
geni, li elogiamo per i loro meriti, ottenuti solo per
quel “piccolo grano di pazzia “ presente in loro,per la
fiducia nel loro credo.
Serafino Gubbio attraverso la scrittura riuscì ad andare
oltre il suo lavoro di operatore, oltre quelle macchine
cinematografiche bestiali che catturano la vita
superficialmente, quasi fosse un’impronta di luce o un
fotogramma cartaceo. L’OLTRE è quel punto di vista che
fa vedere aldilà del nome stesso, aldilà di questa prima
maschera che costringe a pensare che la nostra vita si
risolva entro le lettere che lo compongono. In realtà la
vita continua: << non è altro che un’epigrafe
funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso.
E non sa di nomi la vita.>>
Pirandello dunque ci vuole spingere a riflettere, ci
vuole scuotere e ammonire affinché esploda dentro ognuno
di noi quella “dinamite” di “sana pazzia” che ci conduce
alla genialità. Morire all’uomo vecchio, per rinascere
come uomo nuovo: qualcuno l’aveva detto, ma è stato
messo in croce. Chi abbandona il proprio “io sociale”
perde la propria vita e viene “messo in croce” da chi
non lo riconosce più, come se per colui che si è liberato
ci si senta in dovere di ricercargli ” il senno perso
sulla luna”… Non siamo Astolfo ma uomini in continua
ricerca…
Giuliana Maria Romeo 5^ O
SOMMARIO DEL 2°NUMERO