di Agnese Messina - 3X
Un ragazzo non dovrebbe mai studiare solo per prendere un bel
voto.
Un ragazzo dovrebbe studiare perché gli piace, perché lo “desidera”
(il verbo latino “studio” infatti significa “desiderare”), perché lo
rende una persona migliore.
I
voti sono pericolosi. I voti sono invadenti. I voti sono freddi.
Il voto corrompe. Il voto divide. Il voto classifica. Il voto
separa. Il voto è il più subdolo disintegratore di una comunità. Il
voto cancella le storie, il cammino, lo sforzo e l’impegno del fare
insieme.
Il voto è brutale, premia e punisce, esalta ed umilia. Il voto può
sbagliare, inciampare nel variabile umano. Il voto dimentica da dove
si viene. Il voto non è il volto. Il voto non è cultura.
I voti fanno star male chi li mette e chi li riceve. Creano ansia,
confronti, successi e fallimenti.
I voti distruggono il piacere di scoprire, di imparare, ognuno con i
propri tempi (facendo quel che può). I voti disturbano l’autostima e
la considerazione di se stessi e degli altri.
I voti mietono vittime e creano presunzioni.
Bisogna capire che i voti sono solo dei numeri, necessari per
valutare delle prestazioni: ma sono pochissimi coloro che sanno
scindere bene la persona dalla valutazione.
Molti ragazzi non capiscono che il voto preso è stato dato al
compito, e non ad essi. Molti credono che sarà così sempre, se li
portano dietro anche nella vita. E anche quando non si è più a
scuola si sente tutto, addosso, il peso di quel numero lì che non se
ne va mai.
E poi quanti insegnanti “inciampano” nell’errore di incasellare uno
studente in un numero, di partire comunque da un piccolo
pregiudizio, mettendo sette a quello che prende sempre sette e
cinque a quello che prende sempre cinque?
Già lì è il pregiudizio che inganna.
E’ questo il punto: ogni voto è un giudizio, e ogni giudizio porterà
dietro di sé, un pregiudizio.
Perché se da un lato i voti belli incoraggiano e stimolano a fare
sempre meglio,servono a spronare gli studenti, dall’altro lato
possono minare l’autostima e annullare la considerazione di se
stessi. Gli insegnanti lo sanno bene. E’ il loro mestiere. Ma la
routine e gli obblighi burocratici a volte prendono il sopravvento.