Il sapere al servizio della Solidarietà: convegno a
Palazzo Farnese, Roma
Si
è tenuto il 12 aprile 2018 a Palazzo Farnese a Roma il convegno Il
Sapere al Servizio della solidarietà, promosso da SMLH (Société des
Membres de la Légion d’Honneur), dall’Ambasciata di Francia in
Italia e dal Miur.
È stato l'occasione per presentare i lavori delle classi liceali che
hanno partecipato a un progetto sperimentale avviato dalla SMLH
Sezione in Italia e presso la Santa Sede, in collaborazione con il
MIUR e l'Ambasciata di Francia in Italia.
Il progetto prevedeva che gli studenti esaminassero una o più
discipline del sapere (scienze, matematica, letteratura, filosofia,
arte, cinema ecc) e, utilizzando le modalità ritenute più opportune
(relazione scritta, video, filmati, dipinti, disegni, ecc.)
indicassero se e come le discipline scelte potessero rappresentare
uno strumento di realizzazione di una concreta solidarietà e di
tutela dell’ambiente.
Sono intervenuti: Anna Maria Tarantola, presidente SMLH; Corrado
Augias, giornalista, scrittore e editorialista; Philippe Daverio,
giornalista, critico d’arte, scrittore
; Silvio Garattini, direttore
dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri
; Fabiola
Gianotti, direttrice generale del CERN, Ginevra;
Nuccio Diamante
Ordine, professore ordinario di letteratura italiana presso
l'Università della Calabria. Ognuno di loro ha sintetizzato il suo
intervento per questo Speciale.
Due allieve del liceo scientifico e linguistico Orazio Tedone di
Ruvo di Puglia ci hanno raccontato il progetto presentato dalla loro
scuola.
foto e fonte:
http://www.raiscuola.rai.it/speciale/il-sapere-al-servizio-della-solidariet%C3%A0-convegno-a-palazzo-farnese-roma/2014/-1/default.aspx
SCOPERTO L'ANTIDOTO CONTRO LA GUERRA.
La cultura come fondamento di una società solidale e pacifica
di Randazzo 4LX
-Il est plus facile de faire la guerre que la paix- afferma Georges
de Clemenceau, primo ministro francese dal 1906 al 1909 e dal 1917
al 1920, uno degli artefici del trattato di Versailles.
In effetti
le guerre sono sempre state delle costanti nella storia
dell'umanità: esaltate in epoca classica in quanto simbolo del
coraggio e della virilità dell'uomo, iniziano ad essere condannate a
partire dal XVIII secolo, dalla letteratura illuminista. Con i due
conflitti mondiali viene raggiunto il massimo della forza
distruttiva, in quanto la guerra non riguarda più unicamente la
sfera militare, ma assume una dimensione totale, coinvolge ogni
aspetto della vita quotidiana dei Paesi implicati.
Ma quali sono oggi le cause delle guerre?
Certamente le differenze
tra etnie, religioni e culture, la sete di potere dell'uomo,<<le
misure di ritorsione economico-commerciale, le svalutazioni
monetarie, il gap tecnologico, il monopolio del mercato delle
risorse energetiche, il terrorismo, la "mano nascosta" della
politica internazionale che si esprime attraverso la guerra occulta
dei servizi segreti, la manipolazione dei mass media>> (F.Cardini,
"Testimone a Coblenza", Camunia 1987).
Non crediamo a tutto quello
che spesso i dirigenti politici ci presentano come vero, cioè il
fatto che la stabilità di uno Stato sia data dall'autorità e
dall'efficienza in guerra. Pensiamo piuttosto all'efficienza della
sanità e dell'istruzione, che dovrebbero garantire la forza,
l'intelligenza e lo spirito critico delle generazioni future, nella
speranza che migliorino la società in cui viviamo.
Il militare
italiano F. Mini ribadisce, nel suo libro "Soldati" (Einaudi 2008),
che chi non riesce a trovare delle alternative agli atti di violenza
è dotato di forza ma non di un cervello per impiegarla nel modo
migliore, oppure non ha la forza mentale necessaria per considerare
altri mezzi di mantenimento dell'ordine del nostro pianeta.
Molto
spesso, come afferma R. Toscano, si tende a considerare i nemici
comuni, e dunque i conflitti tra differenti Stati o coalizioni, come
una soluzione, un modo per mantenere l'unità e la coesione
all'interno dei vari gruppi, in quanto vengono sacrificati gli
interessi, le necessità e le aspirazioni individuali. Ed anche
quando non vi sono dei reali nemici, i dirigenti politici tendono ad
inventarli.
Secondo Umberto Eco, infatti, <<la figura del nemico non
può essere abolita dai processi di civilizzazione. Il bisogno è
connaturato anche all'uomo mite e amico della pace>>.
Ma come può
una guerra garantire unità e coesione? Sarebbe una forte
contraddizione.
<<Guerra>> è sinonimo di distruzione, disperazione,
dolore, morte.
Ritroviamo tale concezione di guerra nel "Guernica"
di Picasso, che nella figura del toro vede rappresentata la
brutalità dell'uomo, mentre nell'intera l'opera una serie di corpi
agonizza o urla di dolore, nella più totale confusione, che quasi
stordisce lo spettatore.
Si può, oggi che il concetto di violenza è ancora radicato nella
mente umana, (nonostante i Paesi nord-occidentali si illudano di
essere pacifisti), avere un "antidoto" contro la guerra?
Com'è
possibile garantire la pace?
Partiamo dal presupposto che porre fine
ai conflitti una volta per tutte è necessario per salvare l'umanità,
ed impedire che il mondo si autodistrugga, viste le numerose
possibilità distruttive che il progresso scientifico ha portato con
sé.
A questo proposito Einstein afferma: <<Non so come sarà
combattuta la terza Guerra Mondiale ma posso dirvi cosa useranno
nella quarta: pietre!>>. Dato che le controversie sono spesso
provocate dalle differenze, occorre innanzitutto fare in modo che
queste ultime costituiscano realmente una ricchezza.
Non dobbiamo
limitarci ad esprimere il concetto in questione attraverso le
parole: bisogna sentire, mettere in pratica ciò che si dice,
altrimenti si rischia di mentire persino a se stessi.
Per amare le
differenze è necessario conoscerle, relazionarsi con le varie
culture e trarre da tale relazione un insegnamento che dovrà essere
alla base della nostra vita. Quanti crimini sono stati commessi,
quante guerre combattute, quanta gente è morta a causa
dell'ignoranza!
Ecco come l'istruzione assume un ruolo fondamentale,
ben diverso dalle funzioni che spesso le attribuiamo, ovvero quella
di fornirci una cultura fine a se stessa o quella di prepararci ad
affrontare il mondo del lavoro.
'E necessaria un istruzione che
faciliti l'apprendimento di valori quali il rispetto per ogni essere
vivente, l'accoglienza, l'amicizia, e come afferma Krishnamurti, per
<<comprendere la vita... affrontare il mondo e comprenderlo>>.
Se
non riusciamo ad integrare o addirittura proviamo odio verso il
diverso, come possiamo dire di aver studiato la genetica, secondo
cui il concetto di razza è scientificamente errato, parlando di
esseri umani?
Sarà servito a qualcosa lo studio della storia, se poi
torniamo a commettere gli errori del passato?
Ogni anno ad Oslo, in
Norvegia, il premio Nobel per la pace viene assegnato alla
<<personalità o alla comunità che ha meglio contribuito al
riavvicinamento dei popoli, alla soppressione o alla riduzione delle
armate permanenti, alla riunione e alla diffusione dei progressi per
la pace>> secondo le volontà di Alfred Nobel, inventore della
dinamite, che attraverso tale premio tenta di rimediare al male
causato dalla propria invenzione.
Nel 2012, questa prestigiosa
ricompensa viene attribuita all'Unione Europea <<per aver
contribuito per più di sei decenni a promuovere la pace e la
riconciliazione, la democrazia e i diritti dell'uomo in Europa>>.
Ognuno di noi ha il dovere di dare un contributo per giungere
finalmente ad una società pacifica. Il dialogo e l'apertura possono
essere realmente utili ad evitare le guerre, e pacifisti quali
Nelson Mandela, Gandhi e Martin Luther King ce ne danno una
dimostrazione. La cultura poi, e in particolare l'arte, hanno
un'importantissima funzione sociale. Pensiamo, ad esempio, al
"Guernica"; alle opere degli Illuministi quali Montesquieu e
Voltaire, che attraverso l'ironia sono riusciti a dimostrare
l'assurdità della schiavitù e l'atrocità della guerra (definita da
Voltaire <<boucherie héroique>>);
ai numerosi libri o film sulla
Shoah, il cui obiettivo è quello di alimentare il ricordo in modo da
eliminare il razzismo, far comprendere che tutti siamo esseri umani
di pari dignità ed impedire altri crimini contro l'umanità.
Scrittori quali Apollinaire, Ungaretti, Céline, Montale, Malraux,
Quasimodo o Vercors, esprimono nelle loro opere il trauma subito a
causa dei conflitti mondiali; alcune tra tali opere testimoniano
anche l'impossibilità di trascrivere le atrocità vissute.
Di fronte
ad un mondo privato di ideali, gli intellettuali riflettono sulla
condizione umana, tentando di ridare un senso all'esistenza. Autori
come Sartre, Primo Levi o Hannah Arendt, alla ricerca di nuovi
valori, si impegnano al fine di risvegliare le coscienze.
Ricordiamo
anche un importante prodotto artistico di Pistoletto, "Love
Difference", un tavolo specchiante con la forma del bacino del
Mediterraneo attorno a cui è presente una serie di sedie, dai colori
e materiali diversi, simbolo dei differenti Paesi che si affacciano
sul Mare Nostrum, e che dovrebbero dialogare, proprio come si fa
attorno ad un tavolo, secondo un rapporto di scambio culturale,
solidarietà, rispetto.
Possiamo affermare, quindi, che l'istruzione, l'arte, la letteratura
e la cultura in generale siano i migliori, probabilmente gli unici,
antidoti contro la guerra, se volti a favorire la coesione sociale,
l'accoglienza del diverso ed un profondo odio verso i contrasti.
Investiamo nell'istruzione delle nuove generazioni, poiché con le
loro innocenza e curiosità saranno le uniche a comprendere, se
educate nel modo giusto, l'inutilità della guerra e forse, un
giorno, l'umanità sarà degna di portare questo nome. Infatti, come
afferma Emile de Girardin, <<la civilisation et la barbarie
s'excluent: la barbarie, c'est la guerre; la civilisation, c'est la
paix>>
L’ANTIDOTE CONTRE LA GUERRE DECOUVERT : LE R.A.D.C
di Davide Salerno
Depuis toujours on cherche des moyens efficaces pour combattre la
guerre. Aujourd’hui on peut dire avoir trouvé l’antidote décisif
pour l’éviter : il s’agit du R.A.D.C. Vous vous demanderez
certainement de quoi il s’agit. Et bien, ce dernier est l’ensemble
de 4 facteurs fondamentaux qui doivent ou devraient, dans un monde
idéal, appartenir à toute population, sinon à l’humanité toute
entière pour que toute sorte de conflit soit évité.
Analysons maintenant en détail chaque élément de cette combinaison.
La première lettre est le R qui n’est pas au début de l’acronyme par
hasard. En effet, sans cette dernière les autres facteurs ne
pourraient pas s’enchainer correctement. R pour raison, c’est-à-dire
la faculté de penser, celle qui nous permet de distinguer le bien du
mal, le vrai du faux, le juste de l’injuste, la faculté à laquelle
on attribue le contrôle de nos passions et de nos impulsions. Pour
citer Dante, le grand poète, nous devrions nous laisser conduire par
la raison et non pas par l’instinct quand nous prenons n’importe
quel type de décision, ce qui n’arrive pas aux « bourreaux » qui
mènent les guerres. Comme le dit F. Mini, ancien chef d’état major
du commandement OTAN des Forces d’Europe, la force et l’intellect
devraient être liés parce qu’ils devraient garantir la sécurité d’un
pays, mais parfois cela n’arrive pas puisque « qui a la force n’a
pas de cerveau et qui a un cerveau n’a pas la force ».
Une fois démontrée l’importance de la raison, on passe à la seconde
lettre de la combinaison : le A. A comme accueil. Mais de qui ?
Accueil du différent : dans le monde actuel on a tendance à voir de
manière hostile quiconque est différent par sa couleur de peau, son
pays d'origine, sa religion, son orientation sexuelle, son
appartenance sociale ou simplement par le travail qu’il exerce. Il
faudrait accueillir chaque individu dans sa diversité et éliminer
l’impitoyable soif de pouvoir qui vise à marquer les inégalités et
qui est source de guerres au sein d’un même peuple, entre des états
ou entre différentes parties du monde.
Mais l’accueil basé sur la raison n’a pas de valeur s’il n’inclut
pas la troisième lettre de notre antidote : le D de dialogue. Face
aux problèmes de la société globale, la seule solution est de
s’asseoir autour d’une table et d' en parler. On peut trouver une
stratégie commune pour éviter l’atrocité d’une guerre à travers le
dialogue diplomatique, un dialogue fondé sur la rencontre, visant à
la médiation. Car le dialogue est le seul moyen avec lequel on abat
les murs et on construit des ponts de façon pacifique. Grâce à la
raison, au dialogue, à l’accueil de la diversité, à l’élimination
des inégalités, on peut arriver à la lettre C pour cohésion sociale,
indispensable dans notre monde afin que les individus puissent
construire un monde solidaire et pacifique visant à intégrer et
inclure de façon constructive les différences liées aux situations
sociales, économiques, culturelles et ethniques.
Malheureusement, aucun de ces éléments ne peut fonctionner seul. Il
faut donc absolument les enchaîner les uns aux autres afin d'éviter
la cruauté de la guerre et pour obtenir véritablement une paix
durable.