di Marta Varvarà 1E
Ho deciso di intervistare mio padre, che da ragazzo ha avuto la
fortuna di conoscere nella sua vita scolastica ed extra scolastica
Padre Pino Puglisi, apprezzandone le qualità di professore e maestro
di vita. Cercherò di scovare le emozioni, gli insegnamenti e la
quotidianetà del grande PPP, con gli occhi e l’attenzione di un
ragazzo oggi uomo e non quella di un critico o di un giornalista,
che molto di lui ha letto ma che probabilmente non l’ho ha
conosciuto nel suo intimo.
-Papà, quanti anni avevi quando hai conosciuto Padre Pino
Puglisi?
All’età di 14 anni , ho avuto il privilegio di incontrare PPP,
quando frequentavo il liceo Vittorio Emanuele II ovvero il primo
anno di ginnasio.
-Perché hai deciso di seguirlo al centro accoglienza di
Brancaccio?
Quando parlava mi ipnotizzava, condividevo le sue stesse idee, i
suoi stessi principi e poi il centro era vicino casa e così un po’
spinto dalla curiosità e dalla voglia di socializzare decisi di
partecipare.
-In classe di cosa vi parlava? Quali argomenti trattavate e
qual era il messaggio secondo te che voleva trasmettervi?
Non ci parlava di sparatorie o di cose che potevamo già acquisire
attraverso il tg o i giornali, ma cercava di entrare nella nostra
mente attraverso gesti più semplici e atti di fratellanza, di
solidarietà, di amicizia, e ci invitava a sentire la parola di Dio
-La sua figura era più autorevole in classe o al centro?
L’autorevolezza non era il suo forte! O meglio non le esprimeva come
nell’immaginazione collettiva.
Riusciva a farsi rispettare e farsi ascoltare catturando
l’attenzione di tutti in modo naturale e semplice.
-Com’è riuscito a coinvolgerti nel suo impegno sociale ?
Non ha mai forzato nessuno contro la propria volontà; lui parlava di
presa di coscienza, della realtà che vivevamo; e con estrema
semplicità ti dava dettami per ribellarti.
-Di cosa ti occupavi al centro? Avevi un ruolo preciso o
lasciava liberi di agire secondo le situazioni che si presentavano?
Il mio compito era quello di far divertire i bambini, suonando,
cantando, giocando a nascondino o moscacieca. Fare vivere loro
l’ingenuità che mancava.
-Vi parlava mai dei suoi progetti futuri?
Certo, il suo sogno era creare un nuovo modo di ragionare, di
credere in qualcosa, estirpare la radice mafiosa da ognuno di noi.
-Aveva mai manifestato paura, rispetto all’ambiente che lo
circondava?
Secondo il mio punto di vista lo sospettava ma non trasmetteva agli
altri le sue paure, i suoi timori, era sempre pronto a regalarti un
sorriso e un abbraccio paterno e infondeva sicurezza e tantissima
speranza