Intervista a Gregorio Porcaro, Vice Parroco di P. Puglisi di Daniele Biondo IV U
La mafia puoi raccontarla in tanti modi.
Perché ha tanti volti. Però l'unico a emergere è quello
giudiziario-militare, la punta dell'iceberg. Le stragi, gli arresti,
i processi, i pentiti.
Quando gli editori di Beccogiallo ci hanno proposto un libro a
fumetti sulla mafia, un anno fa, avevamo chiaro in testa che
volevamo raccontare altro. Volevamo raccontare l'iceberg.
La mafia vista dal basso, quella di tutti i giorni. Questa palude
stagnante di illegalità, di violenza, di rassegnazione che tutto
impregna. Che a Palermo assorbiamo insieme all'aria che respiriamo e
all'acqua che beviamo.
Non ne parla mai nessuno, di questa mafia. Non ci sono morti
ammazzati né blitz della polizia da mostrare in TV. Non fa notizia.
È sotto occhi di tutti, eppure è invisibile. Per questo è la più
pericolosa di tutte, per questo bisogna parlarne.
L'AMBIENTAZIONE.
Abbiamo scelto Brancaccio, un quartiere popolare di Palermo. Né
peggio né meglio di tanti altri, di Cruillas, dello Sperone o del
famigerato Zen. L'abbiamo scelto perché uno di noi (Claudio) ci
vive, lo conosciamo bene.
E poi Brancaccio è il quartiere di Padre Puglisi. Lui lo diceva
sempre che bisognava iniziare dal basso, dai bambini, dalle scuole,
dai diritti negati così a lungo da cancellarne la stessa memoria. È
a Brancaccio che lottava contro la mafia quotidiana. È lì che
l'hanno ucciso, tredici anni fa.
I PERSONAGGI. Abbiamo detto dal basso, no? E allora è importante che i
protagonisti siano persone ordinarie, né eroi né criminali. Non
hanno coinvolgimenti diretti con la mafia. Sono brava gente, con un
lavoro normale, una famiglia normale, una vita normale. Per quello
che significa "normale" a Brancaccio, naturalmente.
Anche graficamente non abbiamo voluto caratterizzarli troppo
pesantemente. Hanno lineamenti piuttosto comuni, perché
rappresentano tutti.
LA STORIA.
Raccontiamo delle conseguenze che a Brancaccio hanno i gesti
quotidiani, gesti a prima vista innocenti. E che invece hanno
effetti drammatici. Di come gli abitanti del quartiere facciano
parte di un ingranaggio di degradazione e nemmeno se ne rendano
conto. Non si accorgono che vivere in quella palude, oltre a non
essere affatto inevitabile, ha un prezzo. Altissimo.
Per raccontare questo non c'è bisogno di fatti eclatanti o inventati
a tavolino. Gli episodi del libro sono tratti dalla cronaca e dalla
nostra esperienza personale. Abbiamo solo cucito loro intorno una
cornice narrativa. Ma non ci siamo inventati niente, purtroppo.
LO STILE. Abbiamo cercato di essere sobri, niente spettacolarizzazione. Non ci
saranno le sparatorie e le solite che caratterizzano tutti gli altri
racconti di mafia, anche perché questo non fa parte del quotidiano.
Ma attenzione: non per questo si tratta di una realtà meno
drammatica.
I dialoghi sono asciutti, ridotti all'osso. Anche il disegno segue
queste regole: è scarno, sporco, ruvido. Racconta facce e ambienti
reali senza per questo caricare né indulgere in particolari
squallidi. La mezza tinta è servita a rendere la cupezza dei luoghi,
il loro grigiore. Quello dei palazzi dall'intonaco scrostato e
quello delle coscienze.
L'APPROFONDIMENTO. Nei volumi di Beccogiallo c'è un'idea interessante: accompagnare il
fumetto con delle sezioni di approfondimento. Abbiamo deciso di
chiedere un contributo scritto a chi porta avanti a Palermo una
testimonianza di legalità. Così nel libro trovate la prefazione di
Rita Borsellino e gli interventi di Gregorio Porcaro (vice di Padre
Puglisi a Brancaccio), Rosaria Cascio (dell'associazione "Padre
Giuseppe Puglisi. Sì, ma verso dove?") ed Edoardo Zaffuto (di
Addiopizzo, giovane e vivace movimento antiracket).
Io e Claudio è la prima volta che lavoriamo insieme. Uno di noi
lavora per la Bonelli, l'altro per la Francia, tutti e due siamo di
Palermo. Abbiamo voluto fare un fumetto diverso, nostro. Speriamo
sia venuto bene, che comunichi la nostra rabbia e il nostro
sgomento. Che sia un pugno nello stomaco. Che faccia pensare.
Durante la presentazione un ragazzo si è alzato e in tono polemico
ha chiesto fino a quando durerà questa stereotipo, fino a quando
parlare di Sicilia significherà parlare di mafia. La nostra risposta
è semplice: fino a quando esisterà la mafia.